Una delle case museo più suggestive al mondo, Palazzo Fortuny a Venezia ha riaperto le sue sale al pubblico nel marzo 2022. Un atelier delle meraviglie dove sono stati inventati, grazie al genio di Mariano Fortuny y Madrazo e della moglie Henriette Negrin, alcuni degli oggetti più belli del Novecento, dall’abito Delphos alla lampada a cupola.
Un genio multi talento che fu allo stesso tempo un grande pittore, fotografo, scenografo, stilista, e incisore, detentore di decine di brevetti che, ancora oggi, sono utilizzati in svariati settori, dalla moda ai tessuti, sino all’illuminotecnica.
Mariano Fortuny y Madrazo nasce a Granada, in Spagna, nel 1871, figlio d’arte, suo padre era il celebre pittore catalano Marià Fortuny i Marsal, mentre sua madre Cecilia era figlia di Federico de Madrazo e nipote di Josè de Madrazo.
La veste di Fortuny che Albertine indossava quella sera mi sembrava come l’ombra tentatrice di questa invisibile Venezia.
(À la recherche du temps perdu di Marcel Proust)
Rimasto orfano di padre, si trasferisce a Parigi da bambino ed inizia molto presto a dipingere. Nel 1889 si stabilisce con la famiglia a Venezia e nel 1898 apre il suo studio a Palazzo Pesaro degli Orfei dove abiterà poi definitivamente con la giovane stilista Henriette Negrin, conosciuta a Parigi nel 1902, che diventerà sua complice, collaboratrice e, quindi, moglie nel 1924.
Insieme, proprio a Venezia troveranno il loro giardino dell’Eden, dove le 2 anime curiose ed inquiete si nutriranno delle bizzarie gotiche, della misura rinascimentale, del colore e della luce d’Oriente della città lagunare, loro costante fonte d’ispirazione insieme all’amore per l’antico e alla passione per il collezionismo.
Venezia, insieme ai tanti viaggi, da Roma all’Egitto e al Marocco, diventa, dunque, la musa ispiratrice del loro lavoro che attinge dal passato ma si nutre delle scoperte scientifiche a loro contemporanee. Da pittore e fotografo, Mariano è ossessionato dall’effetto della luce su cose e persone, in particolare dai contrasti tra sole e ombra che sembrano essere alla base di tutte le sue invenzioni.
Come l’abito Delphos, creato su idea della moglie nel 1909 e ispirato al chitone ionico dell’Auriga, scultura greca rinvenuta a Delfi nel 1896, per cui brevetta la plissettatura, tecnica che dona un meraviglioso effetto di luce iridescente al tessuto. Un design audace ed innovativo per l’epoca che lo porta ad essere uno dei capi più amati dalle dive del tempo come la marchesa Luisa Casati, la prima ad acquistarlo, Peggy Guggenheim, Isadora Duncan, o Eleonora Duse. Talmente iconico, da essere stato citato “per nome” da Proust nel suo À la recherche du temps perdu e da aver ispirato gli abiti di Lady Mary nella fortunata serie Downton Abbey, dando il via oggi, ben 110 anni dopo, ad una nuova Delphos-mania.
Altro oggetto passato alla storia, è la lampada Fortuny a cupola, ispirata ai treppiedi delle macchine fotografiche, che ha rivoluzionato il mondo del teatro (Mariano voleva risolvere il problema della luce forte diretta che veniva utilizzata all’epoca in scena) grazie ai raggi che riflettono su di un ombrello bianco, rendendo così più morbido il fascio luminoso. Oggi prodotta da Pallucco, non esiste set fotografico o studio di produzione che non ne abbia una.
Oltre a queste, sono tante altre le invenzioni di Mariano Fortuny che oggi possono essere ammirate nella sua casa museo, come, per esempio, le sue meravigliose stampe su tessuto (potete leggere qui la loro storia), le lampade in seta, o la speciale carta fotografica, che si mescolano, in un crescendo estetico, alle opere degli altri grandi pittori di famiglia, a copie di capolavori del passato (Mariano erediterà l’amore per lo studio e la copia dei grandi, da Tiziano a Tintoretto sino a Rubens), e ai lavori dei tanti artisti coevi di cui era diventato amico e che frequentavano il suo atelier veneziano, da Gabriele D’Annunzio a Robert Browning, da Lino Selvatico a Felice Casorati.
Mariano Fortuny muore nel 1949 e la moglie Henriette decide di cedere i diritti del marchio per i cotoni e le carte da parati alla sua fidata distributrice americana Elsie McNeill, mentre riserverà per sé quelli per la lavorazione dei velluti e delle sete di cui continuerà la produzione sino al 1952, data in cui cesserà anche quella degli abiti; un’arte che nessuno da allora è più stato in grado di riprodurre tale e quale.
Nel 1958 Henriette donerà il palazzo al Comune di Venezia, scrivendo nell’atto notarile: “il salone centrale al primo piano dovrà conservare le caratteristiche di ciò che fu lo studio preferito di Mariano Fortuny y Madrazo, con le opere, i mobili e gli oggetti che vi si trovano attualmente”. E così è stato.
Il recente restyling ad opera dei Musei Civici di Venezia, di cui la casa museo oggi fa parte, ha riaperto al pubblico anche la biblioteca privata dell’artista, uno scrigno di rara conoscenza, mentre il secondo piano è un omaggio al dietro le quinte delle sue creazioni con la ricostruzione dei laboratori dedicati alle tecniche di sviluppo fotografico, incisione, stampa dei tessuti, ecc., e l’esposizione, per la prima volta al pubblico, di decine di manufatti provenienti dai depositi del museo.
Il segreto
Pare che l’amore per il teatro di Fortuny sbocciò a soli 12 anni, nel 1883, quando fu accompagnato a Parigi all’ianugurazione del Teatro Eden. Una folgorazione che lo porterà, nel 1909, a firmare in toto il teatro parigino della contessa de Béarn che gli darà enorme successo internazionale.