La mostra “Ligabue. Un altro mondo” a cura di Marzio Dall’Acqua e Vittorio Sgarbi, organizzata dalla Fondazione Archivio Antonio Ligabue con il Comune di Asiago, offre l’opportunità, fino al 1° novembre 2022 al Museo Le Carceri, di vedere oltre 70 opere di uno degli artisti più misteriosi ed emozionanti del Novecento.
Nato nel 1899 a Zurigo da Elisabetta Costa, originaria della provincia di Belluno, di padre ignoto, anche se riconosciuto due anni dopo da tal Bonfiglio Laccabue, l’artista, che cambierà il suo cognome in Ligabue anni più tardi, viene definito, più a furor di popolo che dai pochi critici d’arte che si sono cimentati con i suoi lavori, un genio visionario dalla dirompente forza espressiva.
Artista unico nel suo genere, segnato da una forte diversità psichica sin dall’infanzia, trova ben presto nella pittura la sua sola forma di riconciliazione con un mondo a lui ostile da cui aveva imparato ad isolarsi.
Nella sua violenza, nella sua espressività animale, Ligabue si misura soltanto con Van Gogh.
(Vittorio Sgarbi)
Il “fuori” risultava, infatti, troppo diverso da quello che Ligabue sentiva dentro. La sua vita, sin dalla tenera età, viene segnata dall’abbandono e dalle cure psichiatriche: affidato nel 1900 ad una coppia italo-svizzera, entra già a 14 anni in un istituto per bambini con disabilità, ed è proprio qui che i medici per primi evidenzieranno le sue innate e straordinarie abilità come disegnatore.
In seguito a crisi sempre più violente, nel 1917 viene ricoverato nella clinica psichiatrica di Pfäfers e, causa denuncia della madre adottiva, espulso dalla Svizzera e mandato nel paese natale del presunto padre, a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia. Qui vive di lavoretti occasionali, aiuti del Comune e sussidi e trova la sua “casa” tra la natura selvaggia del Delta del Po che gli serve come rifugio e fonte di ispirazione.
Dagli animali domestici dei primi anni, dipinge tigri dalle fauci spalancate, potenti leoni e rapaci che ghermiscono la preda o lottano per la sopravvivenza: una vera e propria giungla cruda e violenta che ritrae, come parte della natura stessa con cui si identifica, privandola di alcuna connotazione morale. Un’energia espressiva che per lui, rifiutato dal mondo, diventa bisogno di autoaffermazione attraverso la potenza del creato, oltre un modo di comunicare con esso e sentirsi amato ed accettato. E’ proprio l’unione di questa forza animalesca, Vittorio Sgarbi lo definirà “un animale che dipinge”, con il candore di un animo “puro” che rende la sua pittura così forte, dura, vera, pur nella bellezza di colori e curve armoniosamente perfetti.
Ligabue sfiora la pazzia con le sue crisi violento-depressive, il suo strano linguaggio, a tratti semplice e a tratti grottesco quando parla la lingua degli animali per comunicare con loro, e allo stesso tempo, artista-sciamano, intriga letterati ed artisti per la sua capacità di vedere oltre, capire le persone, con un intuito eccezionale che spesso si manifesta con sagace ironia. Come quando crea quadri “brutti” per i committenti che non gli piacciono o, dopo le prime personali, si raffigura in veste di Napoleone a cavallo.
Dopo il 1937 viene internato per periodi alterni nell’ospedale psichiatrico di S. Lazzaro di Reggio Emilia da cui esce nel 1941 grazie all’interessamento dello scultore Andrea Mozzali che lo ospiterà a casa sua. Nel 1948 viene definitivamente dimesso e trova rifugio nel ricovero di mendicità di Gualtieri.
L’apprezzamento della sue opere va via via diffondendosi, grazie anche al supporto di alcuni estimatori amici, come l’artista Renato Marino Mazzacurati, ed inizia a guadagnare con la sua arte riuscendo a coronare piccoli sogni, come l’acquisto di una motocicletta e di una macchina con autista.
Morirà nel 1965 dopo essere stato colpito alcuni anni prima da una paresi.
In mostra, in un excursus della sua carriera, troviamo alcuni dei suoi più bei capolavori, come il “Gattopardo con teschio” del 1933, “Diligenze con castello” del 1952, “Tigre assalita dal serpente” del 1953 e “Autoritratto” del 1954.
Un progetto espositivo che vale davvero un viaggio, anche per la piacevole cornice del Museo Le Carceri, nato nel 2001 dalla ristrutturazione delle vecchie prigioni di Asiago che ha mantenuto la conformazione originale dell’edificio consentendo di esporre anche nelle piccole stanze un tempo adibite a celle.
Info utili
Museo Le Carceri
Piazza Benedetto Cairoli 13
36012 Asiago, Vicenza