Biennale di Venezia 2022
Inseguendo i suoi animali fantastici, cosa vedere e dove mangiare
La Biennale Arte 2022, curata da Cecilia Alemani, è ispirata al libro di favole di Leonora Carrington, Il Latte dei Sogni, pittrice e scrittrice britannica che, affascinata dal surrealismo, nelle sue opere racconta di animali fantastici, simbolo delle sue lotte interiori, ma anche del potere dell’immaginazione che consente di trasformarci e diventare ciò che vogliamo essere.
Prendendo spunto da questa affascinante metafora, vi raccontiamo in immagini la Biennale attraverso alcuni degli artisti che hanno eletto proprio gli “animali” a protagonisti della loro arte in Laguna. Passeggiando lungo Riva degli Schiavoni in direzione della Biglietteria, nei Giardini pubblici della Marinaressa incontriamo giganteschi gorilla, orsi e leoni. Sono le creature acriliche di Richard Orlinski, artista francese che ha portato il suo Wild Kong nelle location più cool del pianeta, all’insegna del motto Born Wild, e che, stagliate in controluce sul Bacino di San Marco, sono sicuramente di grande suggestione.
Entrati alla Biennale, merita iniziare dal Padiglione Centrale dei Giardini dove vi accoglierà l’elefante in poliestere di Katharina Fritsch, Leone d’Oro alla Carriera di questa edizione, fortemente voluto dalla Alemani, un omaggio alla storia della Biennale. Agli arbori della prima edizione del 1895, infatti, la sede designata fu ai Giardini di Castello dove si dovette demolire la vecchia costruzione che ospitava l’elefante Toni, attrattiva per le famiglie veneziane di allora.
Proseguendo, incontriamo l’altro Leone alla Carriera di questa edizione, l’artista e poetessa cilena Cecilia Vicuña autrice dell’ipnotica quanto meravigliosa opera la Leoparda de Ojitos del 1977. Passeggiando tra le varie sale, sono molti altri gli animali che ci divertono e inducono alla riflessione al tempo stesso, come gli inquietanti 111 squaletti di ceramica o le mosche dell’artista tedesca Jana Euler.
Tra i vari padiglioni dei Giardini, spicca quello della Corea con il gigantesco serpente creato dall’artista Yunchul Kim, una riflessione sui processi di trasformazione della materia e dei movimenti circolari propri dei corpi celesti, origine della geometria e di sacri rituali ancestrali. Ci conducono, invece, ad interrogarci sui valori della modernità i centauri di Uffe Isolotto, protagonisti del Padiglione della Danimarca, che, struggenti nelle loro eleganti posizioni di morte, diventano metafora della fuga da chi potremmo diventare.
Finita la visita ai Giardini ci si può fermare per un pranzo al sole a La Barrique Wine Bar, nella vicina Via Garibaldi, dove l’oste friulano Marco Simonetti, grande esperto di vini, vi preparerà un ottimo prosciutto San Daniele, disossato e non pressato prodotto da piccoli artigiani friulani, e tanti cicchetti preparati ad arte utilizzando, per alcune ricette, la frisella pugliese per mantenerne la croccantezza.
Si prosegue, quindi, verso l’Arsenale dove si snodano i padiglioni più suggestivi dal punto di vista architettonico della mostra, quelli ospitati all’interno delle antiche Corderie, delle Artiglierie e negli spazi esterni delle Gaggiandre e del Giardino delle Vergini. Qui vi aspettano altre creature oniriche tra cui, nel padiglione della Lettonia, le ceramiche irriverenti del duo artistico Ingūna Skuja e Melissa D. Braden che ci accompagnano attraverso gli ambienti della loro casa ricreata all’interno dello spazio espositivo tra denunce sociali, riflessioni e citazioni colte.
Scenografico quanto raffinato il padiglione con l’opera To See The Earth Before the End of the World dell’artista nigeriano-americano Precious Okoyomon che ha dato vita ad una selva di sculture composte di materia viva come terra, arbusti e fiori selvatici. Tra gli elementi utilizzati troviamo anche la Kudzu, una pianta originaria dell’Asia introdotta dagli Stati Uniti nelle fattorie del Mississippi nel 1876 per contrastare l’erosione del suolo causato dalla coltivazione intensiva del cotone. Rivelatasi, in seguito, un dannoso infestante, essa stessa è metafora della diaspora con la natura e denuncia contro ogni forma di schiavitù.
E giungiamo così all’animale più pericoloso, l’uomo, protagonista del Padiglione Italia. Eroina delle cronache di questa edizione, è la prima volta, infatti, che il nostro spazio nazionale viene affidato ad un unico artista. Si tratta del romano Gian Maria Tosatti che, con incredibile poesia scenografica, racconta attraverso varie sale il boom industriale del secondo Dopoguerra ed il suo declino, invitandoci, con la pelle d’oca, a chiederci quale sia il suo lascito culturale o, peggio, se siamo in grado di produrne uno nell’era che stiamo vivendo. Dal titolo semplicemente meraviglioso, Storia della notte e destino delle comete, l’installazione, ci saluta con un messaggio positivo portato da una nuvola di lucciole.
Giunti al termine della visita, è tempo di riflettere sulle mille suggestioni ricevute e discutere sul proprio padiglione preferito. Poco lontano dall’Arsenale c’è solo l’imbarazzo della scelta in quanto, tra ristorantini gourmet e osterie culinarie, il sestiere di Castello è protagonista della recente rinascita enogastronomica di Venezia. Provate il CoVino, che unisce l’atmosfera dei bacari tradizionali allo showcooking, o l’Hostaria Castello, per un mood internazionale di design.
Buona visita!